Per chi intende accendere un mutuo per l’acquisto della propria casa, il momento continua ad essere molto favorevole. Nonostante il cambio di vertice, con Christine Lagarde ormai al posto detenuto in precedenza da Mario Draghi, la Banca Centrale Europea ha deciso di proseguire il suo Quantitative Easing e, di conseguenza, lasciare inalterata la tendenza al ribasso dei tassi, ormai prossimi allo zero. In base agli ultimi dati disponibili, attualmente è possibile ottenere un mutuo ventennale ad appena lo 0,22% di tasso variabile e allo 0,57% per uno fisso. Mentre per chi opti per i 30 anni, i tassi sono rispettivamente dello 0,27% e dello 0,87%.
Si tratta di una situazione destinata a riflettersi anche su convincimenti di vecchia data, come quello esistente nel nostro Paese, secondo il quale sarebbe comunque preferibile scegliere un mutuo a tasso fisso. Sono molti gli esperti che segnalano questo vero e proprio mutamento di paradigma. Andiamo a vedere il perché.
Mutuo tasso fisso e variabile: le differenze
Per cercare di capire meglio le dinamiche che possono spingere a preferire il tasso fisso a quello variabile, o viceversa, occorre iniziare a cercare di capire le differenze tra i due indici. Partendo proprio dalla definizione di tasso di interesse, che nel contratto di mutuo viene determinato sulla base di parametri fissati sui mercati monetari e finanziari cui la banca provvede ad aggiungere una maggiorazione, il cosiddetto spread, il quale va a rappresentare la differenza tra il parametro di riferimento e il tasso effettivamente applicato, e che costituisce il suo guadagno.
Per il tasso fisso, solitamente il parametro di riferimento è l’Eurirs (Euro Interest Rate Swap), mentre per il tasso variabile possono essere l’Euribor (Euro Interbank Offered Rate) oppure il tasso ufficiale fissato dalla Banca Centrale Europea.
Quando si opta per un contratto di mutuo a tasso fisso, il tasso di interesse rimarrà invariato lungo tutta la durata del piano di rientro, mentre in quelli a tasso variabile può mutare a scadenze prestabilite nei confronti di quello scelto in partenza seguendo in particolare le oscillazioni fatte registrare da un parametro di riferimento il quale viene solitamente stabilito sui mercati.
Ognuno dei due tassi presenta vantaggi e svantaggi da tenere in considerazione: quello fisso non permette di agevolarsi delle eventuali riduzioni dei tassi di mercato che dovessero verificarsi nel tempo, ma impedisce anche che una loro crescita comporti veri e propri salassi, mentre quello variabile permette inizialmente di godere di rate meno pesanti rispetto a quanto potrebbe accadere con il tasso fisso, ma è esposto ad eventuali mutamenti delle condizioni di mercato le quali potrebbero comportare in definitiva un inasprimento delle condizioni che a lungo andare comporterebbe un esborso complessivo maggiore.
La variabile rappresentata dalla surroga
Se le differenze tra tasso fisso e variabile sembravano un tempo destinate a regalare un notevole vantaggio al primo, spingendo quindi la stragrande maggioranza dei consumatori ad optare per esso, negli ultimi anni la situazione è radicalmente cambiata. I tassi di interesse continuano a scendere e questo favorisce in effetti chi abbia optato per il tasso variabile. Naturalmente si può muovere un’obiezione al discorso fatto, quella relativa al fatto che la situazione potrebbe mutare radicalmente nei prossimi anni.
Si tratta però di un’obiezione abbastanza infondata alla luce di due fatti:
1) nel corso dei prossimi anni si prevede che i tassi continueranno se non a scendere comunque a mantenersi su livelli estremamente bassi, proprio per l’effetto delle politiche portate avanti dalla BCE, che non mostra alcuna intenzione di mutare il Quantitative Easing;
2) se anche si dovesse registrare un mutamento di registro e i tassi iniziassero ad alzarsi, chi ha sottoscritto un tasso variabile potrebbe ricorrere alle surroghe, ovvero alla rottamazione del proprio mutuo a favore di uno più favorevole.
Un’altra variabile da tenere presente: il mutuo a tasso variabile con Cap
Per chi teme la possibile volatilità dei mercati, il mutuo a tasso variabile può rappresentare un fattore di stress di non poco conto. Stress che può però essere notevolmente limitato da un prodotto che si è affermato in maniera vistosa nel corso degli anni che ci separano dal suo esordio sul mercato dei mutui. Stiamo parlando del tasso variabile con Cap (dall’inglese Capped Rate), ovvero di quei mutui a tasso variabile i quali hanno un limite massimo al di sopra del quale il tasso del finanziamento non può andare, come stabilito sul contratto. Il tetto viene fissato in base all’andamento dei tassi e prevede dei costi aggiuntivi, in termini di spread, da pagare, derivanti dal fatto che l’istituto bancario, al fine di accordare questa protezione ai suoi clienti è costretta ad acquistare contemporaneamente al mutuo, degli strumenti finanziari in grado di assicurarla da eventuali perdite, a partire dai Covered Warrant Cap, scaricandone perciò il costo sui clienti stessi.
Il mutuo a tasso variabile con opzione
Se inizialmente il mutuo a tasso variabile con Cap ha avuto
un notevole successo, con l’avanzare del
tempo in molti si sono accorti come la sua convenienza sia di pura facciata,
considerato come esso sia non solo più costoso, ma preveda anche un tasso
soglia troppo elevato.
Proprio il suo rapido declino ha portato però all’emersione di un altro
prodotto il quale è sembrato molto più rispondente alle esigenze di chi
vorrebbe approfittare della continua discesa dei tassi e di quella dei mutui a
tasso variabile rispetto a quelli a tasso fisso, senza però rimanere impiccato
a vincoli che potrebbero risultare dannosi prima o poi. Il prodotto in
questione è il mutuo a tasso variabile
con opzione e la sua peculiarità consiste nel fatto che prevede, da parte del mutuatario, la
possibilità di passare dal tasso variabile al tasso fisso in periodi
prestabiliti lungo tutto il periodo di ammortamento del mutuo. E’ cioè
possibile il passaggio a tasso fisso in momenti diversi, a seconda della
politica della banca scelta. Alcune lo permettono sempre, altre in periodi
stabiliti durante l’anno, oppure attivano l’opzione soltanto dopo un certo
periodo. L’opzione di solito consiste nel passaggio al tasso fisso e al suo
mantenimento per una certa durata che deve essere dichiarata al momento in cui
ci si avvale della possibilità, ad esempio per 2, 3, 5, 10 anni, o addirittura
fino alla scadenza del mutuo.
Meglio il tasso fisso o il variabile?
La discussione su quale sia migliore, tra il tasso fisso e
il variabile, è in auge da decenni. Quello che si può dire con una certa
sicurezza è che bisognerebbe partire
dalle proprie esigenze: se ad esempio si ha intenzione di acquistare una
prima casa di modeste dimensioni, sapendo che nel medio periodo si potrebbe
optare per un appartamento più grande, si può tranquillamente optare per un
tasso variabile, in quanto si eviterebbe di pagare una tutela, quella
rappresentata dal fatto che l’entità delle rate non muta, la quale quasi
sicuramente non sarà sfruttata. Meglio quindi assicurarsi una rata più
contenuta, sapendo che nel termine di una decina di anni, più o meno, si
potrebbe decidere di vendere l’immobile o di estinguere il mutuo. Mentre nel
caso si preveda di portare a termine il piano di rientro, può essere più adatta
la tranquillità conferita dal tasso fisso, considerato come sia complicato
prevedere quello che potrebbe accadere tra un quindicina di anni.
Va anche ricordato che se da un lato
esiste la possibilità di procedere alla surroga, ovvero alla rottamazione
di un mutuo per averne uno più favorevole, dall’altro occorre sapere che nel caso in cui la cifra rimanente non sia
di un certo rilievo, solitamente perlomeno 50mila euro, difficilmente si troverà un istituto
bancario che si accollerà l’onere.
In definitiva, quindi, possiamo dire che l’eventuale convenienza del tasso
fisso rispetto al variabile, o viceversa, dipende proprio dalle condizioni di
partenza del mutuatario e da una serie di fattori ancora una volta dipendenti
proprio dalle sue personali esigenze.